AlmaLaurea: "la laurea non serve più a niente"

Il rapporto Almalaurea, sui laureati dello scorso anno, fotografa una situazione altamente preoccupante per i giovani italiani tramortiti dallo spettro della crisi.

DATI ALLA MANO – I ragazzi italiani studiano, certo il numero dei fuori corso è in crescita ma chi non può pagarsi gli studi è costretto a lavorare, non è una novità. La novità è invece l’accettazione di un profilo per niente roseo: nemmeno l’agognato “pezzo di carta” è in grado di sollevare dalla crisi economica. Trovare un lavoro dopo la laurea sembra essere il nuovo dramma dei giovani italiani. Scende a picco la possibilità di assunzione ad alta specializzazione sia in campo scientifico che in quello intellettuale. L’ipotesi della corsa all’indietro è il mancato investimento statale in professionalità avanzata, a cui gli altri Paesi prestano invece molta attenzione. È il caso di Germania, Gran Bretagna, Olanda, Francia e Spagna.

CONSEGUENZE – Se la laurea diventa un investimento a perdere, la conseguenza diventa l’immediato calo di immatricolazioni: nel 2003 la quota era del 72,6%, nel 2009 ha toccato il livello di 63,3%. Le famiglie non ce la fanno a mantenere i figli all’università, soprattutto se poi non c’è una possibilità concreta per il loro futuro. Basta fare un confronto tra gli stipendi dei laureati e dei non laureati, spiega oggi Schiesaro su Il Sole 24ORE:


“Un ruolo decisivo sembra essere rivestito proprio dal peggioramento netto delle opportunità di lavoro dopo la laurea. Il divario economico tra laureati e non, in Italia è storicamente meno accentuato che in altri Paesi, ma la percezione che gli sforzi compiuti per andare all’Università non trovino poi adeguata ricompensa al momento di entrare sul mercato del lavoro costituiscono un deterrente notevole. Anche l’elevatissima percentuale di laureati che si iscrivono alla specialistica, oltre il 60%, è sintomo della difficoltà di inserimento rapido e soddisfacente nel mondo del lavoro”.

LAUREA E POI? – Il Rapporto AlmaLaurea ha coinvolto circa 400mila laureati ha evidenziato il disagio vissuto dai giovani in un momento storico difficile accentuato dai problemi economici. La necessità diviene allora il “riportare al centro del dibattito pubblico il valore della cultura, della ricerca scientifica, dell’innovazione e dell’educazione a vantaggio del progresso nel nostro Paese” come pretende il Governo che non si rende conto di alimentare false speranze perché la situazione è grave.

GIOVANI IN CRISI – Il laureato attuale spesso resta in una situazione di limbo ad aspettare l’occasione giusta, sommando qui e là, stage non retribuiti e lavori che nulla hanno a che fare con la loro specializzazione. I tassi di disoccupazione giovanile, secondo i dati Istat del gennaio 2012, hanno raggiunto livelli superiori al 31%, senza tener conto dei giovani che non hanno nemmeno un titolo di studio competitivo. In cifre si parla di 22milioni di giovani: una cifra enorme.

LA QUALIFICA SERVE? – In Italia c’è stata un’inversione preoccupante rispetto agli altri Paesi europei. Tra il 2004 e il 2008, in una fase di crescita moderata, il nostro Paese ha all’attivo la diminuzione di occupati nelle professioni più qualificate. AlmaLaurea ironizza amaramente dicendo che probabilmente “Una parte dei laureati italiani è emigrata e sicuramente è entrata a far parte del contingente di capitale umano che è andato a rinforzare l’ossatura dei sistemi produttivi dei nostri diretti concorrenti”.






CAUSE DELL’ARRESTO – “La debole dinamica che ha caratterizzato, negli anni più recenti, gli investimenti in capitale fisso nel nostro Paese può, da un lato, aiutare a spiegare la bassa crescita della produttività registrata in Italia in questi anni e, dall’altro, getta alcune ombre sulla capacità del nostro Paese di realizzare, a breve-medio termine, quei processi di riqualificazione produttiva necessari per riavviare la crescita” emerge dall’analisi di AlmaLaurea. Parliamo di mancato investimento in beni strumentali durevoli come impianti, macchine, costruzioni. Se non c’è innovazione non c’è evoluzione, soprattutto in un Paese vittima di un’inamovibilità dovuta alle tante gerontocrazie. Il ceto medio si è indebolito e non si prevedono miglioramenti a breve, questo è uno dei motivi che impedirebbe ai giovani di accedere allo studio. Il valore dell’istruzione si sminuisce in opposizione all’importanza che potevano vivere le precedenti generazioni.

MA QUANTI SONO I LAUREATI? – I giovani italiani sono in ritardi rispetto alla media europea: 20 laureati su 100 di età tra 24-34 contro i 37 dei paesi OECD. (In Germania sono 26 su cento, 41 negli Stati Uniti, 43 in Francia, 45 nel Regno Unito, 56 in Giappone) continua AlmaLaurea:


“Al punto che, ancora oggi, il 75% dei laureati di primo livello porta a casa un titolo di studio mancante a ciascuno dei genitori. Molto consistente anche la popolazione di lavoratori adulti laureati, valutabile attorno ai 2,6 milioni di età compresa far i 35 e i 54 anni, che necessiterebbe di formazione indispensabile per aggiornare le proprie conoscenze. Il ritorno sui banchi universitari dei laureati adulti potrebbe costituire una potente occasione di crescita per il sistema produttivo e per quello universitario ed un efficace incentivo per i docenti a valorizzare modalità didattiche attualmente poco utilizzate, funzionali anche al potenziamento delle competenze trasversali frequentemente indicate come carenti fra i laureati”.

Una pratica infografica all’interno del Rapporto mostra il tasso di disoccupazione dei laureati dal 2007 al 2010 salito dal 16% al 19%:



Mentre il tasso di occupazione è pari al 69%, il 57% tra gli specialistici biennali e il 37% tra i laureati a ciclo unico:



L’Istat ha tenuto conto al tasso di occupazione, nell’Indagine sulle Forze di Lavoro, degli occupati impegnati in attività formative retribuite e l’esito è l’unico ad ottenere delle cifre non preoccupanti. “L’esito occupazionale dei collettivi in esame migliora considerevolmente, in particolare per quelli di secondo livello. Più nel dettaglio, il tasso di occupazione lievita fino al 73% tra i laureati triennali, al 72% tra gli specialistici biennali (72%), al 62% tra i laureati a ciclo unico. Il confronto con le precedenti rilevazioni conferma, per tutti i tipi di corso in esame”:



e indipendentemente dalla condizione lavorativa al momento della laurea, ulteriori
segnali di frenata della capacità di assorbimento del mercato del lavoro.

PRECARIETA’ – Il lavoro stabile, con la sola eccezione degli specialistici, ad un anno di acquisizione del titolo diminuisce. La stabilità sfiora solo il 42,5% dei laureati mentre crescono le forme contrattuali a tempo determinato e interinale, del lavoro parasubordinato e del lavoro nero. Le retribuzioni, sempre ad un anno dalla laurea, sono pari a 1.105 euro mensili netti per i laureati di primo livello, 1.050 per gli specialistici a ciclo unico e 1.080 per gli specialistici. Il sostegno all’istruzione deve rimanere alto anche in un momento di crisi, si deve investire nel talento e si dovrebbe incrementare la qualifica dei neo-assunti anche se il titolo universitario ha perso inesorabilmente il valore all’interno del curriculum o almeno è così 51% dei triennali e per il 44% degli specialistici. L’analisi non ha tenuto conto di chi acquisisce il titolo in Albania.


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